Testimonianza dell'Autore

D: Puo' parlarmi del Suo primo libretto?
R: "Echi" e' un libretto che nasce da una serie di sollecitazioni di letture, pero' mi fa scoprire una facolta' che non sapevo di possedere. Sono un paio di poesie che poi hanno un qualche significato per allora: una si chiama "Autunnali", una "Non mi resta piu' nulla". C'erano tanti materiali che erano venuti da letture trafelate che avevo fatto: avevo letto tutto un libro di Marcel Raymond "Da Baudelaire al surrealismo", una piccola antologia di versi francesi, perche' non e' che riproducesse tutte le poesie, ma frammenti, pero' quei frammenti in francese, di cui mi andavo a leggere la traduzione, mi frastornavano, accendevano fuochi artificiali nella mente, mettevano in moto il linguaggio, ma io non lo sapevo. Poi Montale, avevo letto anche Montale, Eluard, ed altri poeti... per lo piu' i francesi e poi gli italiani, soprattutto Montale. Ricordo che quando mi sono travato all'improvviso... stavo a una macchina da scrivere, dove andavo li' a lavoricchiare... avevo provato a scrivere tante volte prima, pero' li' successe una cosa, che le poesie mi venivano per conto loro, cioe', avevano una loro profonda musicalita'. Io riciclavo... Riciclavo? rimettevo in circolazione anche un linguaggio che non era del tutto mio, che non era nemmeno posseduto, di cui non avevo nemmeno totalmente il senso... non avevo un senso linguistico, ma puramente estetico, oppure addirittura sonoro. Mi sono trovato a scrivere queste cose cosi'... venivano cosi', e questa e' stata la rivelazione di una possibilita'. Naturalmente ero talmente ignorante che mi sono dovuto accorgere che non possedevo le chiavi di niente, ero in balia di questa cosa, ma non avevo... sentivo che c'era una sproporzione fra me e quello che avevo detto, e questo non e' male, pero' non avevo cultura, sapevo di essere ignorante, avevo questo... credevo di avere questa voragine di misconoscenza da riempire, per cui per tanti anni mi sono buttato sui libri disperatamente e forse chissa'... Va bene, lasciamo perdere. Questo e' stato il primo libretto.
D: Cosa diceva, "chissa'"?
R: Potevo forse scrivere prima, potevo... Eppure se penso quando traducevo Catullo... quando imparucchiavo il latino per conto mio, che non mai imparato del tutto, ma sufficientemente per tradurre un Catullo con le note, perche' riuscivo ad entrare, non so come, riuscivo a entrarci dentro misconoscendo la lingua: non so come facessi, ma con le note, una grammatica e un dizionario, io riuscivo ad attraversare... Sono riuscito a leggere Catullo, ma a leggerlo proprio nel suo latino al punto che non era piu' nemmeno latino quello che leggevo, era la lingua internazionale e alinguistica della poesia. Per cui, quando poi mi sono travato a fare dal francese antico "La Rosa", e' stato lo stesso, in realta' non e' che ho tradotto "La Rosa", sono entrato, ho lasciato entrare "La Rosa" nel mio universo ed essa è andata a toccare le note, i tasti che avevo a disposizione: se avessi avuto un'orchestra, avrebbe suonato un'orchestra, c'era un pianoforte e un clavicembalo, ha suonato un clavicembalo. Questo qui e' stato "Echi". Poi dopo da li' ho tentato in lingua di arrivare a una grande semplicita', difatti scrissi le prime quartine...
D: In "Echi", linguisticamente, come erano le poesie?
R: Era una lingua estremamente vicina alla realta', pero' con delle trasfigurazioni, come sempre poi e' rimasto, per esempio, ". . . e le sere qui da me/sfarfallano/silenziosamente se dai chiarori antichi/echi ritornano/gonfi di memorie/e motivi di stremati concerti/le elegie/mutevoli/se da orizzonti/chiamano/le lontane lentezze dei crepuscoli/i clamori.../non mi resta piu' nulla". Questa e' una, senti quanto e' letteraria? Invece quest'altra, ". . . e la pioggia ritorna con il maestrale/non ci da' requie/e dal porto che ti seppe schiva/tra i lumi alle promesse/alle ore sfinite dentro litanie/delle barche/nei gusci delle campane/prima che il faro/incominciasse/a baluginare sopra le onde morte/e soltanto ora riprendono nell'autunnale/le storie errate degli altri/che ci indicarono le tante vie/che portano ai domani/i consigli di tua madre sulla soglia/della mia casa/le domande che ci ponemmo per gioco/se l'ebbrezza dei vivi regalava consensi ed illusioni/forse avevano in se' verita' le noie/dei nostri lepori/se dai balconi/povera gente accennava/ai clamori e agli spari esotici/delle luminarie". Questi, vedi, sono elementi anche realistici, con una strana combinazione... pure l'altra finiva con una bella immagine, "l'oroscopo che tenta abbagli e baleni/ignaro/della sua demenza", che dicevo gia'... volevo dire, che ogni prospettiva metafisica era perduta, che tutto quello che parlava il linguaggio dell'alterita', dell'invisibile, era soltanto un oroscopo che mormora, che dice il nulla, cioe' la propria totale insignificanza. Questo gia' con un'idea... perche' poi mi pensavo... quando dico "come pietra abbandonata ai destini di nulla" avevo in mente delle immagini dell'isola di Pasqua, quei visi di pietra che avevo visto in un documentario, quindi anche quello entrava dentro. Questi erano due testi che ricordo perche' ci ho tanto lavorato sopra... No, veramente l'ho scritti di getto tutti e due. Poi grazie a dio sono le uniche cose che rimangono perche' io non ho niente, perche' il libretto non esiste. Qualcuno forse ce l'ha, bisognerebbe fare una ricerca, mettere un trafiletto sul giornale, perche' qualcuno dei miei amici forse l'ha conservato, puo' darsi che qualcuno ce l'ha... magari non me lo vorra' dare perche' pensa che possa avere un giorno un valore, puo' anche essere questo. [ ]


[Il frammento e' tratto da una videoregistrazione, a cura di Stefano Meldolesi, del 2 marzo 1994 effettuata a Pietralacroce (An) in casa del poeta e intitolata Lingua e Cuore. Circa la trascrizione, ci si e' attenuti a criteri totalmente conservativi, integrando la punteggiatura e pero' mantenendo ogni caratteristica del parlato.]