Prefazione di Cesare Segre


1. Fra gli incontri predestinati, va certo posto quello di Scataglini col Roman de la Rose. Gia' e' noto il suo interesse per la poesia due e trecentesca: riferimenti a Jacopo da Lentini, uso frequente del termine laude, sia per singole composizioni, sia per una raccolta di poesie (Laudario 1982-86), e soprattutto reminiscenze dell'antico linguaggio poetico. Anche il paradosso erotico» sotteso ad alcune vecchie liriche - l'amore come desiderio stimolato senza fine dalla mancanza di adempimento - e' quello che caratterizza in buona parte la poesia trobadorica. Ma prendiamo il Rimario agontano del 1987. Ecco, subito dopo la dedica, ad una donna che si chiama Rosellina, i vv. 43-44 appunto del Roman de la Rose (Et tant est digne d'estre amee/ Qu'el doit estre rose clamee»); v'e' poi una scelta dalla raccolta E per un frutto piace tutto un orto (con titolo tratto dal v. 32 della canzone Amando lungiamente di Jacopo da Lentini), la cui poesia esordiale, ove si cita al terzultimo verso Jacopo da Lentini, e' preceduta da un esergo dello stesso Jacopo da lentini: Dai ochi m'arosa/un'aqua d'amore/che sape de rosa». Esso provienedal discordo Dal core mi vene, ove i vv. 31-32 suonano: gli ochi m'arosa/d'un'aigua d'amore»; ma l'ultimo verso, proprio quello della rosa, e' aggiunto dal poeta moderno. Poi, scorrendo qua e la', si puo' trovare una poesia come questa:

  Hai puntato 'na rosa
roscia de sopra el core.
Mai se vide 'sta cosa,
sopra el vulcano el fiore (p. 59);
 

e, nel Laudario, la serie intitolata Rosa, dove Rosa sono sia la donna, sia il suo simbolo, e la rosa stretta al petto da Rosa e' un sogno fine», come quello che costituisce il Roman de la Rose.

2. Si sa che il Roman de la Rose e' uno dei monumenti della letteratura medievale. Ammonta a 21 780 versi octosyllabes, dei quali i primi 4058 sono attribuiti dai manoscritti a un Guillaume de Lorris che li deve aver composti verso il 1229-36. L'opera, rimasta incompiuta, fu poi continuata, con misure molto piu' ampie, da Jean de Meun, prima del 1275. In questa collaborazione a distanza di una quarantina d'anni, si e' conservato il disegno generale: un sogno in cui la conquista della rosa (la donna) viene narrata in forma prevalentemente allegorica, ipostatizzando in personaggi autonomi i sentimenti contrastanti del decorso amoroso, gli ostacoli e le alleanze che gli si frappongonoo che lo coadiuvano.
Tuttavia le due parti del Roman sono agli antipodi. nella prima prevalgono i toni dell'amore cortese, e l'attenzione e' sempre concentrata sui due protagonisti, sul paesaggio elegantemente stilizzato, sugli interventi delle ipostasi e, soprattutto, del dio d'Amore, che enuncia una sua ars amandi Dell'autore, Guillaume de Lorris, sappiamo solo quello che si puo' dedurre dal suo testo: doveva essere un uomo (chierico?) raffinato, forse di famiglia nobile; conosceva Ovidio e i molti poemetti amorosi francesi del Duecento. La seconda parte, d'ispirazione molto piu' naturalistica (la finale deflorazione della donna e' descritta con trasparenti metafore, e non manca nemmeno l'intervento di una mezzana), e' caratterizzata dall'impianto enciclopedico, che allontana piu' volte dal soggetto del romanzo. Questa sintesi della filosofiae della scienza medievale e' anche intrisa di polemiche di attualita': sugli ordini mendicanti, contro il governo monarchico, contro il matrimonio, sull'opera demiurgica della Natura, ecc.. E infatti Jean de Meun, che ha anche tradotto, in prosa, il De re militari di Vegezio, la Consolatio di Boezio e le lettere di Abelardo ed Eloisa, apparteneva all'ambiente universitario di parigi, e rappresentava bene un certo tipo di chierici di origine borghese, parimente avidi di vita e di sapere, e abilmente impegnati nell'impresa letteraria.

3. In una traduzione italiana dei couplets d'octosyllabes dell'originale, ci si aspetterebbero dei novenari in rima baciata. Scataglini opta invece per settenari a rima baciata. E' improbabile che abbia influito su di lui, in questa decisione, il modello del Detto d'Amore che, come il Fiore (entrambi attribuiti da Contini a Dante), rende in italiano il Roman de la Rose, appunto in settenari a rima baciata (l'unico manoscritto ce ne tramanda solo i primi 480 versi). La scelta di Scataglini e' invece da collegare con la netta preferenza da lui mostrata in tutta la sua produzione per il settenario (in subordine per il senario), con cui di solito costruisce quartine a rime abab o a rime abba, mentre questa volta distribuisce i versi in gruppi di dieci, sintatticamente non autonomi. Del resto i rapporti con le due operette attribuibili a dante (il Fiore e' una corona di 232 sonetti) non sembrano sensibili. In particolare, va detto che queste fondono i materiali delle due parti del Roman de la Rose, il Fiore anzi privilegiando la seconda parte: le corrispondenze con il loro modello sono molto raramente letterali. E il Detto d'Amore, che metricamente pare piu' vicino a La rosa, e' un esercizio, ammirevole, di rime equivoche, cui Scataglini ricorre abbastanza poco.
La rosa di Scataglini ha insomma in comune col Detto d'amore poco piu' che il metro; anche se per Scataglini e' pittosto inconsueto l'abbandono della quartina e l'adozione sistematica della rima baciata (da notare poi il modo di scalare i versi, facendo si' che ognuno sia esattamente bipartito da una linea verticale immaginaria a centro pagina). E' viceversa peculiare de La rosa il presentarsi come vera e propria traduzione dal poema francese, se non alla lettera, almeno seguendone con fedelta' il discorso. La traduzione s'interrompe al verso 1692, cioe' a meno di meta' della prima parte: con un taglio che gode di una certa autonomia, perche' giunge al momento in cui Amore scocca la freccia verso il narratore-protagonista. Abbiamo insomma la storia di un innamoramento.
Il passaggio dagli ottosillabi ai settenari e' decisivo per la nuova configurazione del testo. Gli ottosillabi del poema francese si susseguono armoniosamente in un discorso che se ha rilievo per le immagini, ne ha molto meno per la sintassi. Abbiamo a che fare con uno stile elegante e scorrevole, che rifugge dagli scarti bruschi e dalle sorprese; uno stile che ci porta ad un mondo di sogno, anche in senso proprio, in cui nemmeno la lieve ironia ha ripercussioni nella musica. La rosa e' proprio agli antipodi di questo stile. Gia' il settenario e' piu' aspro e costringe a una forte concentrazione semantica; in piu', Scataglini lo presenta secondo una fenomenologia variegata, con una sintassi che alterna iperbati o prolessi a un uso frequente delle parentetiche, le serie sincopate di asindeti e le sinuosita' degli enjambements. E non stupisce che la misura del settenario sia spesso ridotta al minimo, con versi tronchi efficacemente scazonti.

4. Daro' subito alcuni esempi-tipo di questa fenomenologia. Ecco intanto una parte di una descrizione di donna (effictio):

 

L'alito saporoso
sui labri auliva arioso.
Sofuso apena el viso
d'un tenue rosa esquiso.
La bocca carnosetta.
Al mento una fossetta.
Snello, proporzionato
el collo e levigato.
Bianca la gola: brancia
che nova neve inguancia.

Cercando lemme lemme
da li' a Gerusalemme
manco coi pater e ave
un conforme suave
stelo de legiadria
mai trovato s'avria. (581-96).



Evidente la varieta' sintattica, dalle brevi frasi nominali (La bocca carnosetta./Al mento una fossetta./Snello, proporzionato/el collo e levigato») a quella complessa e fitta di enjambements cercando lemme lemme... trovato s'avri'a». In francese e' tutto piu' omogeneo. Quelle che qui sono frasi nominali, nel Roman dipendono da un ot (`aveva') iniziale (Douce alene ot et savoree,/Et face blanche et coloree,/La bouche petite et grocete», 535-37), ancora ripreso, per scrupolo di chiarezza, da un altro ot (S'ot ou menton une fossete», 538). Cosi' subito dopo, Bianca la gola», ecc., in francese e', con la normale copula, Sa gorge estoit autresi blanche/ Cum est la noif desus la branche», ecc., 545-46. Viceversa, la lunga frase complessa sopra rilevata e', in francese, equamente ripartita in tre versi (N'avoit jusqu'en Jherusalen/Fame qui plus biau col portast;/Poliz ere et soef au tast», 542-44). Non sto a rilevare poi la varieta' di registri, evidentissima, perche' piu' avanti riprendero' le osservazioni su singole rimee scelte lessicali.
Ed ecco una descrizione ben diversa, quella della vecchiaia:

  Vecchieza siede allato:
dai anni racorciato
el suo aspetto che fu.
Suchia. Non morde piu'.
Rinfiola de fiaccheza. (361-65)


Si vede subito l'efficacia dell'espressione assoluta dai anni racorciato» ecc. e dei tre asindeti finali, nonche' della scalarita' delle frasi che li compongono (una parola, tre parole con finale ossitono, tre parole con finale piano), infine delle rime ossitone al passato» fu: [non] piu'. Per l'andamento molto meno intenso del francese, basta citare il verso che corrisponde a Suchia. Non morde piu'»; esso dice semplicemente: A pene qu'el se poist pestre», 342. Piu' avanti, con crudele espressivita', Scataglini scrive: Mangia le pappe e umetta/el pane a fetta a fetta», 379-80. Ma tutta la descrizione e' memorabile. Eccone un altro frammento:

  Solo a crozzule pole
tira' dietro a le so'le.
Oh el tempo!... Tuto el tempo
brama de fasse attempo.
Fluisce senza acolta.
Non posa. Non se volta.
Implacabile passa.
D'insustanziale massa
invisibile fluto,
fuge ed invola tuto. (381-90)
 


Questo lamento per il tempo inesorabile, qui movimentato dall'esclamazione (Oh il tempo!»), dalla serie asindetica (Fluisce senza acolta./Non posa. Non se volta», ecc.) dall'andante solenne (D'insustanziale massa» ecc.), nel Roman e' una lunga, pacata riflessione, scandita dall'anafora di Li temps qui», 361, 373, 380, 387 (Li temps qui s'en vait nuit et jor/Sans repos prendre et sans sejor», ecc., 361-94).
Un episodio in cui brilla la bravura di Scataglini e' la storia di Narciso (vv. 161-80).
Rinviando al testo, riporto qui solo alcuni brani sintomatici.
Anzitutto la passione di Eco:

  Cagione de disgrazia
Echo, l'infine sazia
dama de vendicasse
de chi a dulor la trasse.
Echo per quel fanciullo
ogni bene e trastullo
scordo' nella sua brama.
El decoro de dama
perse: pianse, imploro'.
Narciso ricuso'
ogni dulente impetro.
Rise, fugi'. Ad un tetro
furore Echo se volse
contro chi non la colse. (1613-26)
 


Dapprima l'indicazione, con iperbato, enjambement e prolessi combinati, della responsabilita' di Eco (il cui nome risuona, appunto ad eco, a tre versi di distanza); poi il precipitare dei tre passati remoti (perse: pianse, imploro'»), di cui l'ultimo, ossitono, e' in rima con l'ossitono rifiuto di Narciso (ricuso'»), rifiuto poi realizzato con una coppia, simmetrica ma piu' veloce, di passati remoti (rise, fugi'»). Infine la risalita retrospettiva dal furore tetro al suo erompere (se volse») alla sua genesi (non la colse»). Piu' avanti, il fatale momento della nemesi e' evocato con una successione di parentetiche che sembrano voler procrastinare a Narciso il funesto esito:

  Suda, arde de sete
(El dio spande la rete).
Soto al pino possente,
un'acqua de sorgente
-drento una pietra cava
lustra come una grava-
vede. [...] (1643-49)
 


E' difficile interrompere l'esemplificazione: ovunque luccicano i segni della maestria. Mi accontento di un brano dedicato proprio alla rosa, attraente e vietata:

  Simetriche, duerne
sul calamo, ed alterne,
otto foie guarniva
la rosa promissiva.
Quando anusai el suo odore
seppi che ne' p'amore
ne' per forza strappato
saria da l'incantato
fiore, da vivo, mai.
Subito l'acostai
per coielo, ma invano:
s'ergea contro la mano
la driza de le spine
come un stigio confine. (1831-44)
 


Rilevo all'inizio il modo incisivo con cui e' tradotto Guillaume de Lorris (De foilles y ot quatre paire,/Que Nature par grant mestire/I ot assises tire a tire», 1662-64:
manca dunque il calamo», e soprattutto il bellissimo promissiva»). L'effetto del profumo, in francese, e' solo di attirare il narratore-protagonista (Je n'oi talent de repairer,/Ains m'en apressai por lui prendre,/Se g'i osasse la main tendre», 1672-74): non la fatale,inestinguibile fascinazione che Scataglini accentua con i successivi enjambements, che quasi vogliono strappare p'amore» da per forza» e l'attributo incantato» da fiore», mentre il mai» in rima, dopo l'inciso da vivo», ha il tono di un giuramento.

5. Perche' tradurre (in parte) il poema francese? I risultati appena esemplificati basterebbero a spiegarlo. Qualche altra motivazione la aggiunge l'autore, in alcuni versi (151-60) totalmente nuovi e segnalati col corsivo (ma ce ne sono tanti altri che occorre stanare da soli):

  io che traduco el sogno
de un poema e risogno
da desto quel sogna',
espono qualita'
velate d'aparenza.
Percio' diro' in presenza
nel tempo de l'insiste
quei modi de l'esiste.
 


Abbiamo insomma il gusto di risognare un sogno, percio' anche di rivivere modernamente un'immagine gotica (molto duecentesco il gioco verbale sogno-risogno-sogna'; si noti poi poi il ricorso al linguaggio filosofico: qualita', in presenza, esiste); ma in piu' di reperire nell'antico l'universale, nella datata allegoria valori attuali (qualita'/velate d'aparenza»; e quei modi de l'esiste»).
Di solito, chi traduce testi medievali ha il problema di evitare anacronismi linguistici, cioe' parole troppo evidentemente contemporanee, e magari di elaborare una qualche patina evocante il passato. scataglini, al contrario, puo' fruire in partenza dell'arcaicita' propria del dialetto (o almeno del suo dialetto), che collima con l'arcaicita' del settenario, verso da laude jacoponica o da poema allegorico il Tesoretto. Anzi, a prima vista verrebbe da dire che il poema gotico e' reso romanico, dunque retrodatato, dalle caratteristiche dei mezzi espressivi. In verita' Scataglini tiene a disposizione una vasta gamma di stilemi, che vanno dalla tarsia latina o latineggiante ai toni fiabeschi ai pochissimi, scherzosi anacronismi (come la citazione del capitale» di cui tutti ce famo servitori», 1080 e 1082).

6. Un esempio sintomatico di medievalita' completamente istituita dal poeta moderno (su un vago spunto del Roman, 672-74) sta in questi versi, che rinnovano spiritosamente la paraetimologia alla Isidoro da Siviglia, e paiono, se non fosse per la Kore» che rinvia ad altro ambito e per la risonanza lirica, la traduzione di un trattato o di una voce di dizionario antico:

  Parea senti' le gnome
ucellete el cui nome
per esse sere  e insene,
s'anagramo' in Sirene
(sere: tardive, in quanto
s'atarda col suo canto
a cerca' sopra el fluto
-care compagne in luto-
nel morente chiarore
del di', l'amata Kore.
Insene: non decade
mai da la gerba etade). (699-710)
 


Ecco invece un abbozzo di Ballade des dames du temps jadis, col suo bravo ubi sunt»:

  Attempo' nostro padre,
re e regine legiadre
e papi e imperatori:
tuti, al tempo, aleatori.
Indove ando' belleza? (407-11)
 


E si puo' trovare in qualunque testo due o trecentesco un'allusione come questa al paradiso perduto dall'uomo:

  nel giardino giolito
c'Adamo poi perdette
con Eva a le pandette. (678-80)
 


Diverso esempio, di una medievalita' gotico fiorita, in questa specie di miniatura:

  Tuto el mondo cortese
sorti'a come un palvese
da quell'arco turcasso
pinto dall'alto al basso. (985-88)
 


7. Veniamo ai particolari. Citero' anzitutto alcune delle parole francesi conservate, nella forma anconetana, in rima: percentualmente poche, anche se lo spoglio non ambisce alla completezza, dato il tipo di rifacimento: punto (point 365), 391; bali'a (baillie 387), 420; allura (aleüre 513), 541; fermaio (fremau 1169), 1280; brocchieri (boucle' 1188), 1311; socani'a (souquenie 1210), 1344 (anche a 1355 troviamo, fuori rima, socani'a per souquenie 1221); [argento] fino (argens fins 1527), 1698. Spesso e' conservata l'intera coppia di rime: portati: trapiantati (aporter: planter 593-94), 649-50; cortesi: sirventesi (serventois: cortois 703-4), 743-44; carola: parola (carole: parole 727-28), 765-66; bella: novella (belle: novelle 839-40), 893-94; orfre': re (orfrois: rois 1059-60), 1127-28; conti: raconti (contes: contes 1181-82), 1303-4; dovizia: rigolizia (requelice: device 1341-42), 1501-; Pipino: pino (pin: Pepin 1427-28), 1599-600; avallo: cristallo (aval: cristal 1537-38), 1709-10. Un'analisi piu' estesapotrebbe distinguere i calchi piu' forti, come socani'a e orfre', e, fuori di rima, virele', 792, o invece le forme che, rassomiglianti piu' che identiche, sono poi recuperate entro il contesto al significato originario.
Naturalmente il valore di queste rime conservate va messo in rapporto con l'adozione di rime difficili o rare, come per esempio: rapini'o: brancichi'o, 203-4; nutre: putre, 229-30 (di putre i dizionari da'nno solo il valore aggettivale); pelliccia: miccia, 243-44 (con miccia aggettivo tratto dal sostantivo miccio `asino'); sfoia: ploia, 341-42 (il provenzalismo ploia e' in rima in Par. XIV, 27 e XXXIV, 91); addocia: gocia, 399-400; brancia: inguancia, 589-90 (dove brancia e' calco di branche 546); fanciulle: biulle, 803-4; alleluia: ruia, 1179-80 (alleluia e' in rima in inf. XII, 88); traslucigante: viandante, 1189-90; menage: ambage, 1221-22; amuchia: smuchia, 1235-36; storna: smalgiorna, 1369-70; stima: adima, 1393-94 (adima e' in rima in Purg. XIX, 100 e Par. XXVII,77); insigne: incigne, 1433-34 (incigne non sara' l'incingere `ingravidare' trecentesco e dantesco, ma un composto di cignere avvolgere»); spezie: lezie 1505-6 (dove lezie pare aggettivazione del sostantivo che significa `smanceria'); inverno: duerno, 1551-52; sito: assolito, 1589-90; antifonario: salario, 1683-84; rinova: sdova, 1705-6; entragne: bagne, 1795-96. E si notano subito i valori scherzosi delle parole francesi (moderne) pronunciate all'italiana, come menage, o degli accostamenti di comune e ricercato, in amuchia: smuchia; inverno: duerno; antifonario: salario, cui si possono aggiungere rime come amen: dame, 919-20, ecc.
L'accostamento del familiare e del ricercato e' uno dei tratti caratterizzanti questa poesia. Si veda il Godeva a spende e spande», 1211 poco prima del gioco amato-amante se non altro dantesco (cfr. anche de non amante amato», 1686), o il drapo porpora d'Arabi'a» definito fresco de sartoria», 1276, o il delizioso cavandone a pilucchi/racemi de sbagiucchi», 1419-20, a rendere il puramente descrittivo En tel guise qu'il la besoit/Toutes les fois que li plesoit» (1269-70), o Cercando lemme lemme», in rima con Gerusalemme, 591. Ancora piu' studiati, ma sempre con una vena di scherzo, i latinismi o le parole schiettamente latine, come da un lato l'hic et nunc presente», 394, o ardea de se' sua sponte», 1194, o sub iure», 1208, o la prediletta imago», 1666, dall'altro il nigelle», 1134, ispirato fonicamente dal naelee francese, 1062, il cui significato, differente, e' poi restaurato dal resto della frase, o L'opera comincianda», 34, o il cognito universo», 297. Essi a volte si riproducono a catena, anche in versi praticamente nuovi: Sembrava l'auditorium/de le scole cantorum,/pero' tuti ucelleti:/cantori e musageti», 683-86.
Dopo il latino anche la reminiscenza colta ha funzione nobilitante e, insieme, spesso ironica. Trascuro i dantismi generici, tipo va ognuno al Lete o al Stige», 1755, o come un stigio confine», 1844, e trascuro tutte le parole della poesia duecentesca, come adorneze, aulire, brolo, ecc. Piu' notevoli Come diaffan da lume», 119 (tratto dai vv. 16-17 della canzone Donna me prega del Cavalcanti); rista' conforme al quia», 180 (cfr. Purg. III, 37); il boccacciano millanta, piu' volte; 'ntra foie o sub cortina», 1451 (cfr. la canzone Quan lo rius de la fontana di Jaufre Rudel, v. 22: dinz vergier o sotz cortina»), ecc.
Si aggiunga un tono fiabesco, ottenuto a volte con mezzi abbastanza semplici. Cosi' in legiadro certame/coi belli del reame», 759-60, dove il secondo verso traduce si beles gens», 726. Piu' elaborato: Su la lieve erba fresca,/malizia fanciullesca,/ora unita ora sdoppia,/de le donzelle in coppia!», 785-88, che rende Lors veissie's carole aler/Et gens mignotement baler/Et fere mainte bele treche/Et maint biau tor sor l'erbe freche», 743-46. Con voluta vaghezza: da un omo de virtu'/gran rege opure piu'», 1293-94 (un chevalier de linage/Le bon roi Artu de Bretaigne», 1176-77.

8. L'intersezione di registri movimenta senza soste il poemetto di scataglini. E' una specie di manometro del suo interesse al capolavoro francese, di cui ravviva o rinnova il paesaggio idealizzato (brulicare di animali, specialmente di uccelli, o di frutti; concenti di voci e strumenti musicali), di cui riprende senza gravare la mano i tocchi gnomici, e le cui parti narrative rifa' col proprio gusto, senza pero' mai violentarle. E poiche' l'argomento e' amoroso, non puo' sfuggire l'inventiva messa in opera nelle descrizioni della bellezza femminile: alle citazioni gia' fatte, voglio almeno aggiungere:

  Paga dei sui colori
come i ucelli e i fiori,
dei feminili ofici
non serbava artifici
de tinture e d'orpelli.
Recava in se' i gioielli. (1061-66)
 


Dove il Roman dice soltanto: Ne fu fardee ne guignie,/Car el n'avoit mie mestier/ De soi tifer, ne d'afetier», 1004-6; oppure:

  Ma in quel svano de veste
oh se guardato aveste!
de soto al velo fine
de la camigia (un trine)
el principio del seno
palpitava sereno. (1283-88)
 


tanto piu' malizioso del francese Et sa gorge si descouverte/Que parmi outre la chemise/Li blanchoioit sa char alise», 1172-74; o infine:

  Era bruno el visetto
ma limpido, chiaretto
d'una luce dorata. (1383-85)
 


di fronte al francese Elle fu une clere brune/A vis escure' et luisant;/Je ne sai fame plus plesant», 1240-42. Che l'incontro di Scataglini col Roman de la Rose fosse predestinato, lo dice anche la bellezza del nuovo testo, romanico e moderno, intenso e malizioso, che ha saputo trarne.