Postfazione di Massimo Raffaeli
Le parole, e il senso 1. Testimoniare la poesia
di Franco Scataglini implica innanzitutto uno sguardo alla topografia
in cui essa va a iscriversi. Non e' un luogo canonico, gia' rubricato
nella guida delle rotabili della cultura dominante (luoghi di
barbarie autentica, della mutilazione e sfigurazione individuale
al prezzo di inopinate visite del senso, quando trova il modo
di riconoscersi nel giro usuale delle parole). E' un luogo suo
e solo suo, ma che a tutti e' dato di riconoscere. Assomiglia
a uno di quei giardinetti, o broletti direbbe lui con preciso
arcaismo, chiusi da pietre mattoni e muschi, dove durano splendide
e semiclandestine piante domestiche. La gialla dalia che eccede
la muta opacita' delle pietre, quando la luce che si respira
intorno vive un attimo assoluto, e gia' smuore nell'ombra e nel
freddo. Questo per dire che la poesia di Scataglini (al culmine
il presente volume) risiede in una zona di margine, e parla 2. C'e' un segno adibito a
nucleo simbolico che inaugura e va a toccare il centro pulsante
della raccolta: il minotauro del componimento iniziale che si
metamorfosa nel bucranio gessato del poemetto eponimo. Un sigillo
d'autore, la greca sfraghi's che dirime complesse questione
attributive, ma non solo questo. Le mandibole adunche quali forcipi,
e le fonde orbite sbuzzate; la valenza tanatologica del reperto
esprime il tributo di sangue corrisposto alla vita deietta, rimemora
un destino di sconfitta e avvilimento, e sofferenza muta. I ricordi
del minotauro e del labirinto assurgono a figura sintagmatica
centrale. Vi si catalizzano le stazioni di un doloroso transito
purgatoriale. Il labirinto della brama, e il suo attraversamento.
La poesia di Scataglini tiene iscritta dentro la bestiale cogenza
della pulsione; l'inconscio e coattivo stimolo che asserve e
dilapida la vita, mentre l'essere e' visitato da forze ctonie
che non sa placare. Esso viene disseccato e si perde nel parziale
della pulsione: appunto, i segmenti irrelati, e in assenza d'orizzonte
di uscita, nell'artificio dedalico. Essere agiti senza piu' nemmeno
la nostalgia di poter agire. Occorrono cosi' nei testi figure
struggenti, recuperate alla dispersione nell'indistinto da una
parola capace di coniugare frammento biografico e destino, di
interrogarne la ricchezza irrepetibile, o soltanto di stenografare
un'anima da un'occhiaia sgualcita. Vite portate a morire, deprivate
della coscienza e della facolta' verbale, come nella falotica
valletta dei perduti nella chiusa di Carta laniena. Vi
ridonda una disperante fedelta' all'universo creaturale (a patto
di non confonderla col gusto sottile del nativo) mentre si spendono
vita e senso, il sangue e le ragioni del cuore. 3. Nella sezione centrale
del libro la figura di un senso (un percorso esistenziale e poetico
insieme) viene avanzata differenzialmente attraverso l'accostamento
di due poemetti (Carta laniena e Philodemon, di
alta datazione e frutto entrambi di tormentate stesure) dove
ne risalta la dissonanza costitutiva. 4. E le armature innocenti
della sezione omonima presentano una pronuncia ambigua, strettamente
anfibologica: additano i tubolari che alzano i cantieri e anche
l'inoffensiva (ma non per questo meno robusta) ristrutturazione
della coscienza. Sotto l'ardore siderale faticano gli uomini
della scuola psicoanalitica di Maya Liebl. Intanto va sottolineata
la valenza, euristica, esperitiva, dell'espressione: Scataglini
chiama in causa, per riferirlo a una personale intrapresa, un
lavoro fondato sul qui-e-ora dell'accadimento. I nuovi carpentieri
dell'anima sono gli analisti della scuola, fra i quali un maestro
che a pieno suffragio viene nominato nella dedica. L'analisi
e' infatti la condizione o meglio ancora lo spazio ambiente della
poesia di Scataglini, come luogo primario di consapevolezza,
di coscienza in grado di autenticarsi. In quanto tale essa e'
ineffabile; piuttosto serve a mettere in moto quell'energia creativa
che poi trova concreta fattura nel trattamento linguistico-stilistico
dei testi. Libera energie e le mette a disposizione di un particolare
talento. Cosi' una alla volta affiorano dal profondo esperienze
verbali recuperate quali modi specifici dell'essere; fluttuano,
oscillando fra suono attuale e memoria del loro calco arcaico,
si dispongono a un senso. 5. La poesia di Scataglini si da' nell'ascolto portato all'interno (nel se' che si significa mentre significa gli eventi) di voci, presenze, luoghi. Nella durata, che non e' mai tempo convenzionale, che trascorre tra il dittar dentro e l'andar significando, dove e' propriamente un reticolo di rari affetti ad instaurarne l'immanenza. Il bianco sporco di rosa dei gabbiani; il grigio di un'acqua morta; le tinte forti e grottesche dell'onirico; l'oro di un viso sorridente e il nero luttuoso di un titolo di giornale. Gli accadimenti, una volta introiettati, sono tessere cromatiche composte a mosaico. La somma dei colori e' la ricchezza del mondo, appunto passata attraverso l'irriducibile esperienza di se' nel mondo. Contano le sfumature, passaggi delicati come trasalimenti, se e' vero che c'e' sempre una lieve caligine a schermare l'onnipotenza della luce. L'esserci, l'essere presenti a se stessi, modi dell'esistenza che si indentano l'uno all'altro e ritmano un destino... forme de l'esistenza/comune, dolce modo,/sgramate a la violenza/come intonaco a chiodo... Colte in verticale, pregne del senso di cui le investe l'accidentato progresso della coscienza; salvaguardate come reliquie nella loro inerme naturalezza da uno stile cosi' essenziale da alludere talvolta all'iscrizione, all'epigrafe; fatte anonime, cioe' tanto piu' universali e partecipabili quanto piu' individualmente marcate. Parole disponibili a quella sillabazione interiore che sola le garantisce dalle seduzioni e dalle brutali intrusioni del caos; parole appropriate (perche' relazionate a dati riconoscibili) ma distese in effetti d'eco e risonanze profonde, preziose pari al miracolo della luna nascente che intorno diffonde albori di madreperla. Scataglini parla le parole della residenza; infatti produce senso (lo invera senza ulteriori mediazioni) nel luogo in cui l'esperienza vitale lo segna, indipendentemente dal livello di consacrazione che il medesimo luogo attinge nelle gerarchie dell'accademia, o della pratica geopolitica: i coaguli dell'invarianza esistenziale liberati dalla occlusione, che resistono oltre le mutevoli contraffazioni dell'identita' storica. Quel grumo di sensazioni, sentimenti, affetti capaci di illimpidirsi e trovare equilibrio in una struttura testuale, cioe' di testimoniare una verita'. Al lettore chiede udienza fuori dai canali della comunicazione preconfezionata, un ascolto dentro al tempo reale (inconsumabile) della coscienza. 6. Ne' lingua ne' dialetto,
si diceva all'inizio; l'impossibilita' di classificare questa
poesia coi parametri del gia' detto e scontato. Si tratta di
una scrittura, cavata fuori dai vincoli incrociati dell'alta
tradizione monodica e del linguaggio basico riscontrabile in
una categoria di parlanti (o exparlanti) sociologicamente determinata.
Nasce sullo stretto crinale che discrimina i due versanti; e
li' si innerva. Una scrittura originale, trapuntata da scarti
lessicali fitti come aculei (e poco importa se presi a prestito,
col solo criterio della funzionalita', ora dal serbatoio della
poesia romanza ora da glossari in disuso dell'artigianato e della
marineria locale). Gli aculei serbano la puntuta insorgenza della
trasgressione, rispetto a una norma che equivale all'assetto
illusoriamente pacificato del senso e dell'atteggiamento comune.
Il poeta in persona ha voluto una volta riferire alla sua poesia
la metafora eliotiana del fico d'india, evadendone la configurazione
perversa: una pianta di vaga sagomatura fallica che cresce nel
deserto, dove la bellezza dei fiori e la dolcezza dei frutti
fa premio su un ispido rivestimento. Cosi' le points lessicali
funzionano in una giacitura ritmica stabile, chiusa a cerniera
dalla grafia delle strofette metastasiane. In perfetto equilibrio,
nel dosaggio delle pause, dei bianchi tipografici, d'un'iconologia
retorica che va colta nella segreta intramatura per poterla affidare
allo spazio energetico del se' che percepisce, sente, lavora.
Davvero se ne puo' dire come di quei fiori finti tanto belli
da sembrare veri e viveceversa. E vero da l'esse finto
suona l'ultimo verso di Paganelli, che all'occorrenza
si parafrasa in un diventato vero per colmo della finzione». |