"Io che traduco el sogno"

Il "sogno" (1) tradotto da Franco Scataglini sfugge ai contorni di una qualsiasi cornice. E, benche' i versi del titolo appartengano all'ultima sua raccolta edita (2) , riletta la sua poesia con un silenzio indotto dal silenzio (3) , il settenario citato mi sembra un'astrazione possibile per l'intera poesia dell'autore anconitano.
Prevale di certo nel suo primo libro in dialetto (4) - E per un frutto piace tutto un orto -, una sorta di pena patita, nel secondo - So' rimaso la spina - un accorgimento del disinganno senza alibi, in Carta laniena il desiderio di fermare la parola sulla sensazione, in Laudario (5) il riconoscimento della precarieta' come dato unico sicuro e dunque da non disperdere, in La rosa il sogno per antonomasia: ma in ogni caso il sogno e' l'altrove, il retroterra, il possibile, cio' che non e'.
Dietro questo "non e'" si coglie il desiderio (sogno) spesso e da subito detto in quel simbolico "donna" raccolto dal poeta ad immagine stessa del sogno: il quale se realizzato perde le chances di durare e far durare il sogno; se irrealizzato si avvolge in una ovatta grigia di persistenze sfibrate; se evitato nella sua nominazione resta pregiudicato; se colto nella sua brevita' si sottrae a se stesso. Solo tradotto, dunque, e': nella poesia.
Quattro esempi:

 

Cosa ce famo qui

e dopo `ndove andamo?

Volane do sterlache

su da `n vapore slavo.

(Amanti invernali, in E per un frutto...)

 

Est'amore m'ha coto

come `na mugelina.

Spolpato sopra e soto

so' rimaso la spina.

(So' rimaso la spina, in So' rimaso la spina)

 

Longo canali ansiosi

in canoti legeri

viene al desio pensieri

dai scalmi silenziosi.

(da Carta laniena)

 

(el senso inaudibile

sentivo l'altrove.

Dal vago incredibile

suo quando suo dove,

 

le trombe, spaesate,

sonava ma persa

la vita in mai state

cuntrade - diversa)

(minuetto antico, in Rimario agontano)

 

(...

io che traduco el sogno

de un poema e risogno

da desto quel sogna',

espono qualita'

velate d'aparenza.

Percio' diro' in presenza

nel tempo de l'insiste

quei modi de l'esiste).

(La rosa, vv. 151-158)

 


Nell'incavo sottile tra il possibile e l'impossibile, il possesso e la sfuggenza, il desiderio e la volonta', l'illusione e la delusione, corre il filo del verso poetico, fatto a volte di fiato rifiatato nella sua propria "voce" perche' non se ne disperda il senso, del prima o del poi. Qualche volta del durante: ma e' davvero rara avis il sogno inverato (a meno che non si tratti di risognarlo "da desto").
Anzi l'impronta di un "caduto" lascia un peso di coscienza lucida, consapevole, spesso impietosa ("`na festa, un pomeriggio:/le strade meze vote/'ndo' fa un binario grigio/le gome de le rote,//davanti a un muro drito,/cega, sorda, fatale,/la volonta' ho sentito/de spinge giu' `l pedale.", Davanti a un muro grigio, in E per un frutto...). Una coscienza assimilata alle creature tutte nel bene e nel male, nella felicita' e nella infelicita'. Il dolore dell'uomo viene sentito nel dolore dell'animale (6) , la condizione dell'esistere in quella della pianta, con versi asciutti che non danno scampo a quella condizione. Asciutti, cioe' consapevoli e con una solidarieta' umana calda, molto calda nella prima raccolta.
In quell'incavo non si situa un contrasto anodino, ma un contrasto agito perche' riconosciuto nella sua veste interiore. La poesia di Franco Scataglini si compone per diffusi contrasti nella prima e seconda raccolta ("Co' l'aliga marcisce/el molo e la scoiera./Tra i gondoli de sera/i amanti s'avilisce." - I amanti s'avilisce, in So' rimaso la spina).
Sono contrasti fonici, tonici, lessicali, semantici, spesso strofici, a sostanziare una ricchezza ragionata su un niente (e un tutto) esistenziale non solo di memoria leopardiana, ma anche e soprattutto di vicinanza a tutta una poesia del Novecento in lingua con i suoi antecedenti irriducibili: leopardi da un lato e Pascoli dall'altro. (7)
Referenti lontani tuttavia, mentre piu' propri di Scataglini oggi mi sembrano gli esistenzialisti degli ultimi quaranta-cinquant'anni anche della letteratura dialettale: da Pasolini friulano a Marin a Noventa ad alcuni romagnoli. Con un ancoraggio senza referenti direttamente ravvisabili: perche' in Scataglini, che reinventa il suo dialetto (8) , che rivive ricreandola la sua lingua fiola, agisce un contrasto inarrivabile dalla ragione. E' il contrasto che nasce con la vita stessa e che si chiama morte.
Cosi' qualsiasi ricerca non ha sbocco (9) , ogni desiderio finisce nel contrario, ogni volere si ferma su evidenze ininfluenti a diradare solitudini e condizioni.

 

...neve - cornioli alti.

De gravi rami in schianto

luntani soprasalti.

 

Sara' cosi', amor mio,

muri' de compimento,

spezati, fianco a fianco,

drento le giache a vento?

(Su la neve, in Rimario agontano)

 

L'immaginario della solitudine, ma anche dell'amore sognato, dell'aprirsi a nuove esperienze, della constatazione, ecc., si dispone in un orizzonte noto, quello marino, della Ancona di scogli e di mare, di rumori e di silenzi, poco nominata ma esistente. Sotterranea al dialetto di Franco Scataglini, che viene cercato nella parola probabile, nel filtro del rivissuto, nella translitterazione a volte dall'italiano diventato in dialetto fortemente connotativo.
Con una sua pienezza e con l'energia del poeta che stringe in una parola, in una strofa, in un verso, un mondo o una verita', raccolti li' dove sono, nelle cose e nella logica delle cose del mondo.

 

Mez'omo e mezo toro

andai p'i coridoi

dai architravi d'oro

e bianchi com'i scoi.

 

Fui servo de la brama

che m'ha cegato e vinto

fatase fildelama

in fondo a labirinto.

(Mez'omo e mezo toro, in Carta laniena)

 

Scataglini arriva al dialetto dopo un prova in lingua (Echi) peraltro quasi mai da lui menzionata direttamente. Vi giunge con la sua vibratile sensibilita', che gli permetteva e gli consentiva di sentire il respiro delle cose e delle persone e degli animali e (per dire) delle foglie. Attraverso, inoltre, lo studio dei poeti volgari del Duecento: per sua ammissione, nel tentativo di recuperare l'origine (10) via via dimenticata o mortificata, o nel desiderio di riappropriarsi di (ma direi di riappartenere a) un se' e a un essere da una parte attutiti dalla fine dell'innocenza e dall'altra soffocati o calpestati da una cultura sovrapposta e sovrapponente inautenticita', supponente e proditoria nonostante le finzioni di arricchimento.
Allora la spina non e' solo la lisca del pesce, ne' solo la metafora di una vita-amore prosciugata. Puo' essere quella spina originaria ritrovata sentimentale ma non sentimentalistica, non sbavata, assottigliata e catturata nel vuoto di solitudine prodotto attorno all'io: quando ci si sente nati e percio' si sente anche il contrario. Cosi' la poesia e' l'evento del dopo, della memoria non pacificata, del presente ricordato nel suo presente che non ha offuscato la consapevolezza.
E questo avviene non solo per la propria egoita' ma anche nella percezione dell'altro e del fuori, ancora colto in settenari ed anche in quinari, veloci, asciutti, talora secchi in un corpo unico, un corpo d'amore (11) in una lingua imparata di nuovo dopo la dimenticanza e il sopruso.
Il suo valore d'uso emerge dal silenzio, dallo studio, dalla cernita a cui si affiancano anche spostamenti stilistici (per esempio in Carta laniena) giocati sulla interpunzione, sulla parentesi, sul trattino, per una significazione contemporaneamente piena del corpo d'amore, di tutti i suoi tratti essenziali, ed anche per uno spazio che cosi' si dispone nel luogo psichico. (12)
Un lavoro poetico di qualche anno e' andato alla radice di un senso possibile (13) con la resistente modulazione fonica che conferisce una sorta di riconoscimento acquietante alla constatazione-epilogo. E questo sia nei componimenti di poche strofe, sia nelle "ballate", sia nei poemetti che si sviluppano distanti dalle asciuttezze evidenziate poco sopra.
Ma in ogni caso e' una sorta di resa in cui si stempera la falsa danza dell'inizio, l'impeto di un cominciare, il delinearsi del desiderio: di vita, in sintesi, spesso attestata in un cenno di apertura all'esterno finito poi in malandanza. (14)
Se dopo tanto, peraltro nella ripetizione, si finisce sempre in malandanza, dove e' mai il sogno? Il sogno e', allora, il suo rovescio: durata versus cessazione, gioia versus dolore, felicita' versus infelicita', ma anche avere versus essere poiche' l'essere riporta alla prima condizione. Soprattutto il sogno e' il punto in cui l'attesa non e' piu' e ancora non e' giunto il compimento: in uno spazio infinitesimale, luogo non identificato, in cui prevale una pienezza avvertita corporalmente.
Tradurre il sogno, ossia condurre al di la' della definizione determinata e, dunque, nella pagina di una poiesis in cui un un prima e un dopo nominati vengono ri-tratti in un sentimento di pienezza solo in questo modo davvero reale.
Ed e' anche in questo spazio-luogo che l'inclinazione malinconiosa, pure cosi' diffusa, non prevale e non lascia intrusioni prevaricatorie. Qui la poesia di Franco Scataglini si avvicina a filo ai suoi "maestri" del duecento e del trecento. Ma direi anche a tutta una tradizione "amorosa" almeno europea, fin dalle sue radici classiche, greche per intenderci ma anche latine. (15)
"I acrobati d'amore/-che per desio d'ofesa/sempre in punta de core/va su la corda tesa." (Carta laniena); "armasa sopra el letto/l'impronta./Dona mia,/in omo el cavo efetto/io fui de l'anda' via)" (Carta laniena); "sei marzolina (ariete/spande de fogo fresco/el rosa, com'el pesco/sopra l'umida abiete)" (Carta laniena): solo alcuni esempi a cui potrebbero essere aggiunte strofe "amorose" nella modulazione fonica e tecnica propria del senario usato dal nostro poeta non troppo spesso ("(...)//imberbe, malvisto,/da pallido Oreste,/cercava l'Egisto/'ntra povere teste") (rimario agontano) e gia' caratteristico delle ariette metastasiane.
Ed "amorosa" in senso lato (ricordavo poco sopra e in nota il tutto dell'universo come corpo d'amore) verso le cose e le creature partendo da un se' che partecipa a volte coinvolto a volte straniato, a seconda degli occorrimenti. (16)
"Amorosa" perche' d'amore (e del simbolico "donna" in una accezione che convalida la tradizione reinventando l'esperienza), ma anche per quell'impulso a desiderare cosi' ben ravvisabile nei versi e nelle strofe: un Eros per la conoscenza, una spinta per l'immersione nell'esperienza esistenziale, una pervasivita' nella fine delle situazioni con il proprio corpo. Come in (Venere): "- la folla truviera/dei grilli dei campi/surtiva legera/dai fumidi stampi - //pareva suspesa/la casa in eterno/con (Venere acesa)/sul prossimo inverno" (Rimario agontano).
Si' che vicini e lontani sono i riferenti medioevali italiani e trobadorici dal momento che Franco Scataglini - su una lingua anche con queste radici riconoscibili (17) - immette la variabile tutta moderna (18) e contemporanea della implicazione e della implicazione del se', delle ragioni e dei sentimenti lasciati al vaglio dello spazio e del tempo, del luogo e della vita e della morte terrena e terrestre, laici in una parola. Con, in piu', uno sguardo attentissimo - tra la pieta' e il fastidio, tra la condivisione e il rifiuto - nato dall'osservazione e dall'ascolto del se'.
Ma piu' efficace appare il sogno quando queste due ultime modalita' poetiche non sono visibili (come invece accade in qualche sezione di Carta laniena), quando cioe' fluiscono i settenari, i senari o i quinari nella loro liberta' scivolata negli enjambements o fermata a fine verso, interrotta su una parola tronca o seguita fino all'antifrasi, ecc., a determinare quel contrasto sottolineato all'inizio del mio scritto.
Come accade ne La rosa, che sdipana a cerchi concentrici personaggi e sogni, situazioni (sognate) e sogni, pensieri e sogni: ".../io che traduco el sogno/de un poema e risogno/da desto quel sogna',/espono qualita'/velate d'aparenza/(...)". Sogno ed apparenza, sogno-apparenza: Scataglini ha riafferrato la radice del Roman de la Rose caricandola di un senso di attese e di contestazioni, di transitorieta' anche temporali (19) recuperate al sogno.
E quest'ultima parola connota e denota il punto indistinto situato tra la fine dell'attesa e il prima dell'inizio, ne La rosa visibile anche nella disposizione strofica: una strofa "prosegue" qualche volta compiendosi a meta' dell'altra, in ogni caso mai esaurendo il senso di se'.
In questo allargarsi di cerchi concentrici (20) vi e' anche il particolare turbamento di una rincorsa verso una unita', un centro in fondo mai raggiunto. E chissa' che per Franco Scataglini il lavoro su questa traduzione non sia poi stato, al fondo, un modo per significare ancora una volta una rincorsa infinita nella vita cosi' ben significata nella sua poesia e nel suo "sogno". Al di la' del fatto che La rosa ha anche una sua autonomia poetica ed e' opera di franco Scataglini: la lingua, ricchissima di nuovi e vecchi calchi, di soluzioni, di invenzioni, di riprese, di prestiti, ne e' non solo spia; soprattutto e' veicolo di poiesis.
Anche in una sorta di divertissement. Dopo La rosa (e anche contemporaneamente) il poeta lavora su un poemetto - El Sol - in cui e' molto presente la trepida momentaneita' di un attimo mediano tra chi piu' non e' (almeno nella parte conosciuta su "Poesia") e la memoria che di quel "non piu'" e' custode fedele.

 

Un cerchio de memoria

custodisce presenze

de un'altra cronistoria.

Per labili inferenze,

 

un interno fulgore

disorienta figure

come se da un visore

afiorate, creature

 

disperse e sempre sole

che un nesso iredescente

de minute parole

preservera' dal niente.

(...).

 

Altro non si puo': portare altrove (nella poesia) il sogno significa farlo esistere e preservarlo dalle instabilita' e dal transitorio esistenziale.

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(1) Il titolo di questo mio scritto e' tratto da La rosa, verso 151. In corsivo nella raccolta che riscrive (ma si veda il significato che Cesare Segre, il prefatore, assegna a questa parola) il Roman de la Rose. Il corsivo segnala i versi scritti ex novo da Scataglini.

(2) Opere di Franco Scataglini: Echi, Ancona, Ata, 1950; E per un frutto piace tutto un orto, introduzione di Plinio Acquabona, Ancona, L'Astrogallo, 1973; So' rimaso la spina, introduzione di Carlo Betocchi, Ancona, L'Astrogallo, 1977; Carta laniena, prefazione di Francesco Scarabicchi e postfazione di Massimo Raffaeli, Ancona, Residenza, 1982; Rimario agontano (1968-1986), a cura di Franco Brevini, Milano, Scheiwiller, 1987; La rosa, prefazione di Cesare Segre, Torino, Einaudi, 1992. Franco Scataglini ha curato l'edizione del canzoniere di Olimpo da Sassoferrato, Madrigali e altre poesie d'amore, Ancona, L'Astrogallo, 1974. Di tutto interesse anche il volume Carlo Betocchi, Lettere a Franco Scataglini (1976-1984), a cura di Massimo Raffaeli, Brescia, L'Obliquo, 1991. La parte finale di un poema inedito, El Sol, e' stata pubblicata su "Poesia", anno VII, n. 78, Novembre 1994, a cura di Massimo Raffaeli.

(3) Franco Scataglini e' morto a Numana il 28 Agosto 1994. Era nato in Ancona nel 1930.

(4) Sul dialetto, cosi' particolare e suo, di Franco Scataglini hanno scritto non solo i prefatori e postfatori dei suoi libri, ma anche gli stessi in altri luoghi e altri critici. Qualche indicazione essenziale: Tullio De Mauro, Le parole e i fatti, Roma, Editori Riuniti, 1977; Giuseppe Tonna, in "Quaderni del Marchingegno", n.1, Ancona, 1980; Gualtiero de santi, ivi; Franco Brevini, Poeti dialettali del Novecento, Torino, Einaudi, 1987; id., Le parole perdute, Torino, Einaudi,1990; Giacinto Spagnoletti e Cesare Vivaldi, Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi, Milano, Garzanti 1991; Massimo Raffaeli, Diagramma per Franco Scataglini, in "Idra", n. 4, 1992; Roberto Antonelli, in "il manifesto", 4 Luglio 1993; Mariarosa Bricchi, Il luccichio dei sogni, in "l'immaginazione", n. 99-100, novembre-dicembre, 1992; Massimo Raffaeli, Allegoria della rosa, in "Galleria", n. 1, 1994; Massimo Raffaeli, Esercizio su Philodemon, in "Verso", n. 7/8, 1994; Gianni D'Elia, in "il manifesto", 8 settembre 1994.

(5) In Rimario agontano, cit.

(6)Tra le tante, una poesia: Io so' `sta vita esplosa: "Tortura e febre a caso/me viene dentro, e moro/senza mori' e so' raso/come ai macelli `i toro//quando in mezo a la fronte/ie sparane quel chiodo,/e i ochi cerca `n ponte da traversa' e `nt'un nodo//de sangue ie s' impiomba:/io so' `sta vita esplosa/che su de se' ripiomba/ ...).

(7) Il richiamo a Leopardi e a Pascoli come presenze profonde, anche se talora lontane, almeno fino alla meta' del nostro secolo. Per quel che riguarda Franco Scataglini lui ha riferito varie volte della difficolta' di liberarsi di montale, del brivido alle posie di Penna e di Saba. Uscira' nel 1995 presso Guido Miano nella Storia della letteratura italiana, Novecento, un saggio di Gualtiero De Santi (Le scritture dei poeti nello specchio dei modelli novecenteschi) in cui e' trattato anche Franco Scataglini in relazione ai "suoi " poeti.

(8) Utile e necessaria l'introduzione di Cesare Segre a La rosa, sia per cogliere la lingua di questo poema, sia per leggervi in filigrana la grana appunto del dialetto di franco Scataglini.

(9) Il fine per Plinio Acquabona (Introduzione, cit.) e' la ricerca della verita', dell'assoluto.

(10) Le dichiarazioni di Franco Scataglini si rintracciano, qua e la', nella bibliografia citata alla nota 2.

(11) Tuto e' corpo d'amore e' anche il titolo di una poesia di So' rimaso la spina. Sul corpo d'amore insiste Betocchi.

(12) Franco Scataglini per qualche anno ha seguito una terapia psicoanalitica.

(13) Piu' particolarmente, a quanto ne scrivono Scarabicchi e Raffaeli, il frutto di questa ricerca e' Carta laniena.

(14) La parola, usata in due poesie, e' di Franco Scataglini.

(15) Escluderei gli erotici dell'Antologia Palatina, pur essendo la poesia del nostro autore fortemente erotica, per il fatto che in lui prevalgono (anche nel lessico) accentuazioni edipiche tali da meritare un'analisi a parte. In proiezione, tuttavia, il discorso puo' tornare a cerchio alla poesia cortese la' dove la donna "inattingibile e intoccabile", madonna, puo' essere vista come l'altro versante dell'Edipo freudiano.

(16) La parola, usata per una sezione di Carta laniena, e' di Franco Scataglini.

(17) Truviera = trovadorica.

(18) Scrive Cesare Segre in chiusura della sua Prefazione a La rosa: "Che l'incontro di Scataglini col Roman de la Rose fosse predestinato, lo dice anche la bellezza del nuovo testo, romanico e moderno, intenso e malizioso, che ha saputo trarne."

(19) Per esempio questa strofa posta nella copertina de La rosa: "El ferro, cosa dura/al tempo va in rasura./Niente al tempo resiste:/invero, niente esiste./Quel che acrebe e nutri',/se consumo', marci'./Attempo' nostro padre,/re e regine legiadre/e papi e imperatori:/tuti, al tempo, aleatori."

(20) Ai cerchi concentrici provocati da un sasso nell'acqua ricorre Scataglini in una sua poesia per significare la prova continua dell'uomo alla sua vita vanificata.

 

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di Maria Lenti in "Hortus" -rivista di poesia e arte - 16, II semestre 1994 - Stamperia dell'Arancio.