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Personale di Franco Scataglini
Casa di Raffaello
Bottega di Giovanni Santi
Urbino, aprile 1976
Introduzione al catalogo di Carlo Antognini
Un artista che si trascina dentro un'inquietudine
mai sopita, che fa dell'angoscia la misura del proprio rapporto
con la realta', finisce inevitabilmente per confrontarsi con
l'assoluto o per smarrirsi nella landa utopica di Aristippo.
In Franco Scataglini c'e' anche un'esuberanza idealistica che
rasenta il dato religioso, semmai non lo supera. una religiosita'
globale, panteistica con velature di un edonismo in cui e' piu'
facile riconoscere lo stesso Scataglini, piuttosto che Aristippo
con la sua malcerta filosofia. Una religiosita' lontana da divagazioni
e priva di feticci, ma continuamente attraversata dal dubbio,
incrinata da una sensualita' che e' forse l'aspetto piu' evidente
del suo conflitto interiore, quella che meglio definisce il significato
della sua lotta con l'Angelo.
Sensualita' e misticismo cercano in lui un punto di convergenza,
da aspetti contradditori divengono termini complementari di una
medesima aspirazione. Cosi' come sogno e realta' sembrano reperire,
in eguale misura e con identico diritto, una possibilita' di
coesistenza in una pittura che non e' onirica e non e' realistica,
pur assumendo la realta' - nelle sue implicanze fisiche e metafisiche
- ai fini di un discorso pittorico che in ultima analisi vorrebbe
essere popolare. Lo dice, del resto, l'uso di una figurazione
che e' rimemorazione di antichi e insicuri palinsesti o, piu'
semplicemente, emergenze mutilate di immagini «dolorosamente
deiette e pero' - secondo una sua definizione - come se sovrapposte
in trasparenza a raffinati arcaismi di affreschi riportati».
La verita' di Scataglini e' dunque di tipo particolare: i suoi
lavori vivono in una dimensione atemporale, i simboli sono quelli
cari alla sua cultura e alla sua memoria; eppure, al di la' del
carattere strutturale bizantineggiante, sono l'emblema di presentissime
angosce, sono il rapporto di una nostalgia d'assoluto, sono i
segnali di grandi smarrimenti in cui tutti potremmo confrontarci.
Ma accanto al piu' scoperto aprirsi del discorso, in Scataglini
affiora - piu' o meno oscuramente avvertibile - qualcosa di impenetrato,
di invincibilmente soggettivo; qualcosa, insomma, che gli appartiene
come memoria operante ma non completamente definibile attraverso
le citazioni certo possibili: voci di tumulti biografici, ad
esempio; ma lasciandogli pur sempre spazi oscuri per le sue angosce,
le sue tensioni, i suoi sogni e ideografie estasiate.
I personaggi, i temi prediletti sono quelli dei cavalieri (il
cavaliere aureo, il Cavaliere sacrificato: un ciclo
che data dal '64), e soprattutto i re, gli angeli, i vescovi,
gli antipapi: personaggi di un «ciclo mitico - sono parole
sue - ambiguamente virile, indizi di una nevrosi che ha in una
sensualita' religiosa il suo centro molle, il suo formulario
incantatorio». Accanto ai personaggi le battaglie (la
battaglia dell'antipapa, i convenevoli della guerra, studio per
una battaglia: opere tutte del '75), concepite come superfici
su cui oggettivare le proprie lacerazioni, in cui dar sfogo a
rituali e vicissitudini a noi ignote. Sotto un cielo incupito
per temeraria frenesia o per divina indifferenza si dispiega
l'inquietante pantomima: amplessi minacciosi e sagome di cenere,
artigli e mitrie, scettri e cavalieri magagnati pesti e corrosi.
Attraverso queste immagini, dove l'intera mente dell'artista
confluisce con ironia e struggimento, si stabilisce un rapporto
irradiante: quello della coscienza coniugata agli abissi che
la generano ma anche un bisogno di certezze non effimere e transeunti.
Sono segni di dissoluzione di resistenza vitale, di eloquio del
passato e di silenzio del presente, con un significato di volta
in volta piu' ampio nella trasmissione delle interne urgenze,
delle emozioni e delle avventure spirituali non mortificate dalla
ragione o dal tempo imperfetto. Insomma un passato che sprofonda
nel presente e lo colma di inquietudini e nostalgie, di cecita'
e visioni, di momenti denudati e pietose velature; ma che soprattutto
lo carica di sensi e di turbinose scommesse con la realta' e
la vita.
In questa pittura - martirio pittura - ironia il colore diviene
il tramite ultimo per intelligere l'opera. Basta osservare il
senso di torbido, di polveroso, di fustigante con cui definisce
i corpi nelle battaglie o l'efflorescenza di sagome rarefatte
in alcuni cavalieri o, ancora, il fasto penitenziale di certi
re e vescovi. In altre parole, attraverso il colore Scataglini
riesce a trasferire sul foglio o sulla tela luci e cromie del
sensibile, in un contrappunto tra vita e morte, tra materia erta
graffita e labile alone di fondi; lo stesso grattare il colore
fino a trovare le tonalita' desiderate equivale a una spoliazione,
a una forma di autografia penitenziale di scritto dentro.
Quindi[...]giacche' comporta un'assoluta disponibilita' alla
grazia o allo smarrimento, ma Scataglini sembra disposto a percorrerla
fino in fondo. Pertanto il grado di autenticita' della sua pittura,
la misura di fedelta' alle ragioni del proprio assunto, si dovranno
cogliere in seguito in questa direzione. In altre parole, Scataglini
non potra', alla lunga, eludere l'interrogativo di fondo, quello
che sostiene la sua ricerca artistica, a meno di mentire a se
stesso; ed e' anche questo un modo di salvaguardarsi, di costringersi
dentro il problema esistenziale, di ancorare il proprio discorso
alle ragioni di fondo: le sole che contano nel computo del tempo.
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