In margine a "La rosa"
di Vincenzo Consalvi 7/8 giugno 1998
(matita del 2 ottobre 1992)

 

La "ròsa" è subito la "rósa",
quasi "résa": tutto
viene consumato: dalla
bellissima ròsa alle
cose brutte: esistono poi
brutture? esistono
bellezze?

Il teatro della sua "Rosa", la musica della della sua Rosa "finta uscita" - per la durata del cuore -, "fondo dipinto" come tutto l'operare umano: altro è dato, agli umani, oltre "La ginestra"? Cosi' tenue il confine tra "strofe" e "scrofe". D'altri teatri. Scrofe, capretti, pecore, buoi del suo mattatoio. Del mattatoio del mondo. Teatro dell'orrore quotidiano, muse facce d'animali a simbolo. filo del sangue filo della poesia. Che si nutre di sangue. Di musica di sangue. Di musica e sangue. "Chi cerca strofe trova catastrofi". Fiori presso il mattatoio. Da rubare con ansia. E gioia. Fiori ammazzati in depredarli d'odore. Tavole della legge frantumate per la conquista di cio' che della grazia e' il segno perfetto: l'odore. Non l'integrita' assoluta dei vasi curati della cittadina e della casa di Dolores bambina. Non i perfetti, ma finti fiori della zia di Dolores. Ma il bisogno di rubare la Grazia. E frantumarla nei versi odore di mela baciata leccata mangiata. Grazia d'inchiostro argento di lumaca indelebile: catastrofe della vita sempre in fuga. Anima di sangue non afferrabile. Valle Mia...no. D'altri. Di nessuno. "Intravisto baleno" di felicita' in corsa perenne verso il "Furo, nero e tondo". Pure, la fuga anche sempre Bach. Finché vita duole.

E che cosa, se non l'assoluta presenza
dell'Amore, e' la morte? Se non il lago
buio dove gli infanti Odori vivono interi?