L'ARIETE - Galleria d'arte contemporanea
Porto S. Giorgio, 4 agosto 1974

di Franco Scataglini

 

Ho cominciato a dipingere in una cantina non umida ma poco illuminata. Sono partito con poche ma tenaci ossessioni: un cavaliere di Rouault, alcune icone serbe, una madonna di Margheritone d'Arezzo, i mosaici di San Vitale e soprattutto Klee, gli acquerelli dell'interregno e gli appunti impraticabili della Teoria della Figurazione e della Forma: da cui non ho cavato niente fuor che un amore - per Klee - che rasenta la monomania.
Dacche' i primi risultati - non puerili - dovevano parecchio alla causalita' tentai di razionalizzare il caso all'interno di un'estetica assolutamente improbabile, parecchio malcerta e tutto sommato artigianale: io preparavo l'avvento - o l'epifania? - del caso spatolando colori, grattando superfici, occultando combinazioni, isolando sgocciolature finche' non coglievo il suggerimento di un segno o di una cifra, anche minimi, nelle concrezioni della stessa materia accumulata e in certi margini risultati casualmente evidenti: ma non viaggiavo per le astrazioni: inserivo il tema che era sempre e soltanto l'abbozzo rudimentale di un'icona, la rimemorazione di una nostalgia d'assoluto, aurea e lussuosa fino al feticismo. I temi prediletti erano e sono il santo, il cavaliere, il re e soprattutto l'angelo: personaggi di un ciclo mitico ambiguamente virile, indizi di una nevrosi che ha in una sensualita' religiosa il suo centro molle e melmoso di polluzione.
A poco a poco - anche tecnicamente - ho tracciato il confine del mio orto e mi sono accorto che assomigliava incredibilmente a quello che con piu' tempo e maggior cura avevo ritagliato nell'ambito della scrittura: parlo dei miei versi, un contrappunto di lingua e dialetto che ho ordito sul modello della poesia duecentesca, nella suggestione della poesia dialettale veneta commisurata al lessico vernacolare di Ancona, che e' la mia citta'. Popolare vuol essere la mia scrittura (ed io so bene che quel «popolare» e' solo un'allusione o un sogno, non una definizione); popolare vuol essere quel che dipingo: e penso agli ex-voto delle chiese di campagna, alle oleografie dei piccoli santuari: immagini dolorosamente deiette e pero' come se sovrapposte in trasparenza a raffinati arcaismi di affreschi riportati, a icone di Bisanzio dal dischiuso fondo luminoso: una sintesi possibile solo illusoriamente nei soliloqui di un artista insabbiato e per questo libero, favolosamente libero.