Il passato dell'avvenire

 

Parlare di poesia dialettale e' forse oggi altrettanto audace che parlare di poesia tout court. Ma l'audacia di chi ne parla non sara' mai inferiore a quella di chi, producendo opere poetiche e in particolare opere poetiche in dialetto, riconosce nella lirica e nella conservazione delle tradizioni e delle koine' regionali un gesto di necessaria educazione del progresso. Il quale, se pure e' nella frattura più' che nella continuita' che suole cercare i propri moventi, nondimeno solo alla memoria dovrebbe attingere per assumere credibilita'. Non ci sembra pero' azzardato affermare che e' in una memoria regionale e quindi dialettale che il destino occidentale si trova oggi necessitato ad individuare fondamenti e matrici che il presente tende invece a negargli.

Frammentazioni
La poesia dialettale si muove nel solco del piu' vasto fenomeno di frammentazione sociale suggerendo da un lato il recupero delle tradizioni localistiche e dall'altro il formarsi di uno iato stridente fra dialetto e realta' contemporanea. Emblematica in questo senso l'opera di Raffaello Baldini, la cui forza scaturisce proprio dall'impatto di una lingua del passato» con un presente la cui inespressivita' le e' consentito mettere in rilievo innervandolo di voci altrimenti intraducibili dalla lingua normale, cioe' della normalizzazione. La grammatica della nevrosi» di Baldini e' dunque la cifra esatta dello spaesamento a cui l'intera societa' va incontro allorche' si sente costretta, dall'irriducibile scarto fra interno ed esterno, alla disidentificazione e alla estraneita'.
Altro problema posto, ma non risolto, dalla poesia dialettale e' quello della contaminatio intesa come standardizzazione verso il basso della lingua nazionale: standardizzazione che e' appunto indotta (contaminatio) dall'esterno, programmaticamente o viralmente, e non dall'interno come processo automatico di aggregazione delle specificita' linguistiche regionali. A differenza della maggior parte delle nazioni moderne europee, l'Italia ha infatti raggiunto l'unificazione politica dopo quella linguistica, dando cosi' vita a scompensi che la lingua manzoniana ha colmato soltanto superficialmente. residui dell'insufficiente canonizzazione del lessico e della grammatica sono ravvisabili negli scarti del parlato, che il dialetto sancisce ribadendoli per iscritto. Anglicizzazione e burocratizzazione della lingua si sono poi aggiunte (nuova contaminatio) a fare dell'italiano comune», scritto e parlato, una miscellanea non perfettamente risolta sul piano della coerenza espressiva e della personalita', e pertanto debitrice nei confronti del dialetto per la vitalita' e l'autonomia perdute. Dimenticare il dialetto equivale allora, in un certo senso, a dimenticare la frammentazione originaria con cui, volenti o nolenti, con maggiore o minore simpatia per le leghe, dobbiamo oggi coscientemente riflettere. Sarebbe plausibile considerare anacronistico il dialetto parlato e scritto solo se questo non intervenisse, anche a livello creativo (e bisogna ricordare che una grossa parte della miglior produzione poetica novecentesca e' in dialetto, e che con il dialetto si sono cimentati autori quali Pasolini, Zanzotto, Porta e altri), nel duplice e contradditorio processo di riflusso-omologazione che andiamo vivendo. Poesia come cartina di tornasole del disagio, dunque, ma anche poesia come proposta di una ricontestualizzazione del Se' e dell'Altro all'interno delle nuove geometrie politiche e sociali.

Poema in versi
Parallelamente all'inaspettata attualita' della poesia dialettale corre una inattualita' ancora piu' sorprendente: quella del poema in versi. Proprio ad uno di questi, La rosa di Franco Scataglini, pubblicato di recente da Einaudi, vogliamo dedicare questo articolo.
Ad inquadrare l'argomento conviene pero' forse citare, come premessa e introduzione, altri due testi di non dissimile natura: La camera da letto di Attilio Bertolucci e L'infermiera di Pisa di Ottiero Ottieri, entrambi costruiti sulla continuita' narrativa» e quindi vincolati, come quello di Scataglini, al problema della tenuta.
Se partiamo da questo aspetto e' solo per sottolineare come l'inattualita' del poema e' oggi - e in generale nel corso di tutto il Novecento - congiunta a un'altra, e forse piu' sottile, inattualita': quella dell'epopea. Il pubblico contemporaneo predilige l'azione fulminea, il ritmo serrato, la vicenda breve; oppure l'analisi introspettiva, il romanzo di formazione, il documentarismo. l'ampia narrazione tassiana o il poderoso, ariostesco intrecciarsi di vicende sono modelli che difficilmente incontrerebbero il suo favore.
Ma se i modelli rinascimentali vengono calati in forme poematiche meno colossali e meno anguste dal punto di vista dell'intreccio e della struttura simbolico-cognitiva, ecco che la stessa epicita' riacquista una valenza estremamente moderna». Merito di questi tre poemi e' allora, in sostanza, quello di avere restituito ad un genere apparentemente chiuso nella tradizione la sua duttilita', la sua necessaria storicita', la sua tenuta, oltreche' interna, esterna.
Franco Scataglini muove in direzione di un recupero del dugentesco Roman de la rose quasi a voler significare un tentativo di attraversamento della letteratura contemporanea a una sorta di annullamento delle distanze. Discendendo per cosi' dire nella lingua come nella storia della letteratura, fino all'estremo confine della parola, egli opera in risalita una coniugazione personalizzata di lingua e dialetto, antico e moderno, onirico e reale. E' una lingua dell'interstizio, un lingua della complicita', i cui esiti ultimi disegnano un'immagine della Poesia come luogo privilegiato di conciliazione.
Il sogno e' rivissuto, la poesia e' poesia rianimata. ...io che traduco el sogno/ de un poema e risogno/ da desto quel sogna'...». Non c'e' memento di stasi o arrendevolezza: il fare poetico e' fare nella e della metamorfosi, seppure bloccata al confine dei tempi. Scrive Cesare Segre nell'introduzione, riferendosi al modello del Roman de la rose: il passaggio dagli ottosillabi ai settenari e' decisivo per la nuova configurazione del testo. Gli ottosillabi del poema francese si susseguono armoniosamente in un discorso che se ha rilievo per le immagini, ne ha molto meno per la sintassi. Abbiamo a che fare con uno stile elegante e scorrevole, che rifugge dagli scarti bruschi e dalle sorprese; uno stile che ci porta ad un mondo di sogno, anche in senso proprio, in cui nemmeno la lieve ironia ha ripercussioni nella musica. La rosa e' proprio agli antipodi di questo stile».

Poeta dello svelamento
E' dunque evidente come l'intento di Scataglini sia stato quello di una rivisitazione verso la trasformazione più che verso la traduzione: cioe' di una riscrittura del poema in direzione di una vera e propria alterazione del sentimento. Operazione che, se da un lato snatura» l'essenza emotiva del poema provenzale, dall'altro rintraccia pero' di esso il lato occulto, ovvero l'inespressa esuberanza. E' nell'indole di Scataglini, d'altronde, gia' vivace osservatore del femminile e del caduco (come testimonia l'opera Rimario agontano, pubblicata da Scheiwiller nel 1987), cogliere nel tratto della mordacita' quanto di non visibile connota le cose. Non gia' l'ironia, dunque, a cui Segre fa riferimento per contrappunto, ma l'atteggiamento umano nella sua interezza, eccentrico e malizioso, fa di Franco Scataglini un poeta della ricreazione e dello svelamento. Non ci pare improprio paragonare questa attitudine a quella dell'artista d'avanguardia che rivisita il classico per riesumarne inespresse valenze: per esempio il Francis Bacon che ridisegna l'Innocenzo X di Velasquez innervandolo della frammentarieta' e della instabilita' che esso conteneva ma che la storia non aveva avuto occasione di fare passare. Sono soluzioni che restituiscono alla poesia, e all'arte tutta, le sue possibilita' di rinnovamento del mondo attraverso inedite significazioni e rappresentazioni.
Intendere nell'accezione corrente dialettale» la poesia di Scataglini sarebbe pero' insinuare una appartenenza a un genere che lo stesso poeta rifiuterebbe recisamente. E non solo per orgoglio d'unicita', come in ogni scrittore, bensi' per la reale distanza che intercorre fra la poesia dialettale comunemente detta e quella prebembesca» a cui invece si rifa' l'autore anconetano. Pre-bembesco - cioe' precedente alla canonizzazione di una lingua ufficiale letteraria operata dal Bembo nel `500 - e' infatti l'insieme dei riferimenti, da Jacopo da Lentini ai provenzali, a cui piu' assidue vanno le attenzioni di Scataglini. Una lingua della solitudine, ma anche della originarieta' e dell'originalita'.

La lingua dei servi
L'assunzione del dialetto» ha dichiarato il poeta nella rivista Diverse lingue e' connessa ad una segreta identificazione della mia vicenda di intellettuale solitario ed isolato con quella degli uomini che vengono posti al margine della storia: gli esclusi, quelli che sono deprivati degli strumenti in cui il potere si manifesta: la lingua (incommensurabile per chi la guarda dal suo povero idioma subalterno) e la cogenza dell'uso della forza quando viene irreparabilmente patita. La lingua dei servi, dunque: la lingua dell'affettivita' domestica e del rassegnato abbandono al corso delle cose. Oppure la lingua dell'oscenita' e della bestemmia quando la rabbia puo' sollevare solo un empio brandello di bandiera contro la soggezione sociale diventata destino». E' una dichiarazione che il critico Franco Brevini, avvicinandosi, seppur tangenzialmente, al nostro discorso sulla lingua dialettale come riflesso letterario» di un problema di piu' vasta portata sociale, definisce come luogo di un impegno etico e politico, attraverso cui il poeta lega la forma originale della propria parola al destino sociale, suo e degli altri che con lui condividono quella stessa parola».
Una poesia che sta nel centro del discorso poetico come speculum della mutazione e dell'integrazione delle parti finisce cosi' sempre per divenire, se risolta in questi termini, soggetto di un processo in atto e suo interno documento: ma nello stesso tempo documento di un sogno da risognare che il tempo non puo' e non deve sottrarre a chi sa nella poesia la forza, il potere e la voglia di non abbandonare la memoria alle effimere promesse del futuro. El ferro, cosa dura/ al tempo va in rasura./ Niente al tempo resiste:/ invero, niente esiste./ Quel che acrebe e nutri',/ se consumo', marci'./ Attempo' nostro padre,/ re e regine legiadre/ e papi e imperatori:/ tuti, al tempo, aleatori».

 

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di Marco Alloni su "Azione" Martedi' 22 dicembre 1992